Ottocento anni fa san Francesco componeva il Cantico delle creature, un inno alla vita che nasce dall’amore di Dio e a lui ritorna rinnovata dall’amore fraterno.
Il Cantico delle creature è stato composto da san Francesco d’Assisi intorno al 1224-25 ed è una lode a Dio e alle sue creature che si snoda con intensità e vigore attraverso le sue opere, divenendo così anche un inno alla vita; è una preghiera permeata da una visione positiva della natura, poiché nel creato è riflessa l’immagine del Creatore: oggi, 800 anni dopo, quelle parole continuano ad essere un invito a riconoscere la sinfonia del creato e il canto che vibra nel cuore di ognuno di noi.
Eppure, san Francesco scrisse il Cantico in un momento particolare, soprattutto nel contesto di una forte sofferenza fisica ma anche spirituale. La lode a Dio creatore di tutte le cose che ci circondano e in cui siamo immersi, viene scritta proprio quando è ormai quasi cieco e la luce del sole gli procura dolorose fitte agli occhi a causa del tracoma ovvero del “morbo egizio” che aveva contratto in seguito al viaggio in Medio Oriente. Inoltre, l’armonia del creato contrasta con le divisioni interne all’Ordine che aveva fondato. Eppure Francesco canta, canta la bellezza del creato, canta l’armonia delle cose, canta il perdono che ricompone le divisioni, e canta la morte che ormai sente prossima.
Sì, il Cantico di Francesco è un invito alla conversione – che il linguaggio dell’epoca traduceva con la parola “penitenza” – rivolto prima a sé stesso, poi ai suoi frati e, infine, ad ogni uomo. Voleva, infatti, che il Cantico fosse portato a tutte le persone ed i suoi frati avrebbero dovuto cantarlo, concludendo con parole di esortazione a “fare penitenza” cioè a cambiare rotta nella vita o in taluni atteggiamenti.
A conferma di ciò, la strofa sul perdono viene scritta e aggiunta in un secondo momento al Cantico, proprio quando tra il Vescovo e il Podestà di Assisi non corre affatto buon sangue, odiandosi fino al punto che il primo scomunica quest’ultimo. Francesco, così, compone la strofa sul perdono e manda i suoi frati a cantarla dinanzi ai due rivali, fatti giungere con un pretesto nello stesso luogo. Al termine dell’esecuzione, i due, toccati profondamente nel cuore, si riconcilieranno definitivamente.
Tutto ciò ci dice che la spiritualità di san Francesco che ritroviamo nel Cantico era una spiritualità incarnata. In un tempo in cui l’amore per la natura era molto diverso dal nostro, per niente romantica, in quanto considerata una nemica che distruggeva abitazioni, raccolti e bestiame, Francesco aveva la capacità di vedere il divino nella materia, fratelli e sorelle negli elementi considerati ostili. Era ed è la spiritualità di un cristiano che sa vedere il bello e il buono in tutto e in tutti. Ben a ragione, infatti, il Cantico delle Creature si conclude chiamando la morte “sorella”, perché anch’essa non ci è nemica: la morte non è all’opposto della vita, ma la porta della vera vita.
Ad 800 anni di distanza il messaggio del Cantico delle Creature è attualissimo e tutto ancora da riscoprire. È la via di uscita ai tempi bui che stiamo attraversando e ci annuncia che nessuna tenebra può soffocare la luce dell’amore di Dio per noi, che – come scrive Papa Francesco nella sua lettera enciclica Dilexit nos – si protende verso noi e vuole entrare nel nostro corpo e nel nostro cuore con un abbraccio infinito.
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