La Cop29 ha raggiunto tanti record, dalla lunghezza esasperante delle trattative all’essere stata, in termini di risultati raggiunti, tra le più deludenti conferenze mondiali per il clima.
Ci sono volute oltre trentadue ore in più del previsto per raggiungere un accordo finale alla 29ma Conferenza per il Clima delle Nazioni Unite conclusasi a Baku, capitale dell’Azerbaigian, il 23 Novembre scorso. Di certo, è stato il summit sulle emergenze climatiche tra i più difficili, con tanto di litigi furibondi tra i delegati. D’altronde, l’oggetto del contendere era la finanza. E “quando ci sono di mezzo i soldi tutto si complica”, ha sintetizzato il premier delle Fiji, Biman Brasad.
Le nazioni povere del globo, come calcolato dal gruppo di esperti indipendenti incaricati della stima dalle Nazioni Unite, hanno bisogno di almeno 1.300 miliardi dall’estero – tredici volte la quota attuale di 100 miliardi – per contenere le emissioni e adattarsi al riscaldamento globale nel prossimo futuro. Così, dopo un estenuante braccio di ferro e grazie alla mediazione dell’inviata brasiliana Marina Silva, supportata dall’Unione Europea, la cifra di compromesso che dovranno versare gli stati ricchi a quelli poveri è stata fissata a 300 miliardi e solo a partire dal 2035.
Un vero schiaffo per le nazioni fragili, condizionate dall’inesorabile cambiamento climatico che va dall’estremo della desertificazione all’altro estremo delle devastanti alluvioni e dell’innalzamento dei mari che stanno inabissando i paesi insulari.
Con l’uscita di scena degli Stati Uniti, il cui nuovo presidente è dichiaratamente un negazionista dei cambiamenti climatici, gli occhi di tutti sono puntati sull’Ue e la Cina. Ma anche sui grandi conflitti in corso. Le guerre, infatti, inceneriscono anche le risorse economiche destinate alla salvaguardia del pianeta. Basti pensare che solo nel 2023 in armamenti sono stati spesi otto volte la cifra che si è decisa di spendere ogni anno per il clima.