Oggi sono chiamato ad andare, con la mia croce, presso la croce di Gesù, e da qui amare, perdonare, pregare, per tutti, nessuno escluso.
«Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste»
– Matteo 5,48
Oggi sono chiamato ad andare, con la mia croce, presso la croce di Gesù, e da qui amare, perdonare, pregare, per tutti, nessuno escluso.
«Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste»
– Matteo 5,48
La capacità e il modo di amare di un individuo – ce lo insegna la psicologia e l’esperienza – dipendono fondamentalmente dall’esperienza d’amore vissuta fin dall’infanzia all’interno del nucleo familiare, in primis nel rapporto genitori-figli. Ognuno di noi porta in sé l’impronta d’amore che ci è stata impressa nel nucleo familiare e poi, via via negli anni, anche dai contesti extrafamiliari.
Per quanto si sia nati e cresciuti all’interno di un contesto relazionale fatto d’amore e di attenzioni per l’altro, di accoglienza, di sostegno e di perdono, il contesto extrafamiliare spesso innesca nell’individuo delle forme di limitazione alla capacità e volontà d’amare così come si era imparato ad amare. L’impronta lasciata dal nucleo familiare spesso si va affievolendo se non offuscando.
Lo stabilire relazioni sane con i parenti e gli amici, il cercarsi, l’accogliersi e l’aiutarsi reciprocamente, il perdonarsi le sempre possibili défaillance, rendono la misura della nostra capacità d’amare e della nostra amabilità.
In fondo, ognuno di noi si costruisce nel tempo una cerchia di relazioni in cui i soggetti sono collegati tra loro dall’amore o da altri più vari interessi. Questo cerchio relazionale, per quanto grande possa essere, mette alcuni dentro e ne lascia fuori altri. Esclude certamente gli sconosciuti, ma anche chi è considerato e percepito come nemico o come un pericolo per la propria stabilità psicologica, affettiva, vitale.
È a questo limite, a questo “difetto” (dal latino de-ficere, mancanza di qualcosa) che fa parte della nostra natura umana, che Gesù, nel testo evangelico di Matteo 5,43-47, ci fa puntare lo sguardo. Egli non dice che è cosa negativa l’aiutarsi tra amici o tenersi alla larga dai nemici, ma che questo è un limite che i figli di Dio, quelli cioè che hanno fatto esperienza dell’amore paterno-materno di Dio, sono chiamati a travalicare.
Il modello a cui guardare è il Padre del cielo, la cui misura dell’amore è l’amore senza misura, senza limiti né confini, senza alcuna discriminazione. «Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste». Così in Matteo, mentre Luca, nel testo parallelo, sostituisce la parola “perfezione” con “misericordia”: «Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso» (Lc 6,36).
Essere perfetti (da per-ficere, compiere tutto), significa non mancare di alcunché, non avere altro da fare, non lasciare niente fuori. Pertanto, i vangeli ci dicono che Dio è perfetto nella misericordia, nel suo amore viscerale. L’evangelista Giovanni scriverà che «Dio è amore».
La conseguenza di tutto ciò è che Dio è Dio perché ama perfettamente, senza limiti e senza misura. Se Dio dovesse escludere qualcuno dal suo amore, non sarebbe più Dio.
Anche Dio ha i suoi nemici, a partire da Satana; anche Dio ha chi non lo conosce e tanto meno lo ama, ma questo non interferisce sulla sua libertà di amare, non intacca la sua perfezione, non lo rende imperfetto. Perciò Gesù può dire: «amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli».
Siamo chiamati ad un amore extra-ordinario, che va al di la dell’ordinario, dei nostri limiti umani e delle limitazioni che ordinariamente, umanamente, ci diamo. Un amore che non esclude nessuno – inclusivo, mai esclusivo! – ma che primo fra tutti e soprattutto non esclude l’amore che Dio riversa in noi, per quanto ingiusti e incattiviti dalla vita possiamo essere.
Abbiamo bisogno di fare esperienza dell’amore di Dio, come il pane quotidiano. Senza questa esperienza costante dell’amore di Dio, ameremo solo secondo la misura imperfetta dell’amore umano o di venire amareggiati dal veleno delle inimicizie e delle pantomime dell’amore di cui facciamo quotidianamente esperienza nelle relazioni umane.
Gesù, nonostante il limite della sua natura umana, non si è lasciato avvelenare dall’inimicizia, dall’odio, dalle incomprensioni, dalla violenza, dalla menzogna… Prima della sua Pasqua, nell’orto degli ulivi continuerà a chiamare “amico” (cfr Mt 26,50) chi con un bacio falso veniva a consegnarlo alla morte. Mentre i soldati lo percuotevano, lo scernivano, lo conducevano al Calvario, lo inchiodavano sulla croce, continuava a ripetere: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno» (Lc 23,34).
Solo così e per questa ostinazione a non arretrare i confini dell’amore, Gesù poté concludere la sua missione di salvezza dicendo: «È compiuto!» (Lc 12,50). L’amore del Padre si è realizzato in tutta la sua perfezione.
Credo che per amare perfettamente come Dio ci ama, non solo abbiamo bisogno di fare esperienza di questo amore, ma forse di iniziare ad amare dal suo centro gravitazionale che è la croce di Gesù. Non credo sia un caso che la Madre dell’amore e il Teologo dell’amore fossero lì – stabat – ai piedi della croce.
Anch’io, oggi, sono chiamato ad andare, con la mia croce, presso la croce di Gesù e da qui amare, perdonare, pregare, per tutti, nessuno escluso: per i miei amici e per i miei nemici, per chi mi ha fatto del bene e per chi mi ha percosso, per chi amo e per chi sta nella linea di confine perché mi risulta difficile amarlo, per chi ho incluso e per chi ho escluso dal mio amore, per chi ho amato e per chi ho ferito con la mia cattiveria, il mio odio, i miei gesti e le mie parole e per chi mi ha escluso da dentro i confini del suo amore.
fra’ Saverio Benenati, OFM Conv.